Storia - Il difficile cammino

Il difficile cammino dell'ALER

(P.Stanislao Santachiara, Cappuccino)

L’ispirazione di iniziare un’associazione riparatrice con un oggetto specifico, che la distinguesse da ogni altro gruppo della stessa natura, vale a dire la riparazione delle offese contro Gesù Eucaristico, incominciò a concretizzarsi fin dagli anni venti, quando il P . Agostino era di famiglia a Pesaro.

Tuttavia fu in Ascoli Piceno, nel 1928, dove egli insegnava teologia dogmatica ai chierici cappuccini, che divenne opera ecclesiale attraverso l’approvazione dei superiori e del vescovo locale, Mons. Lodovico Cattaneo, ottenendo prima, dal 1928 al 1932, una approvazione verbale e poi, il 22 settembre 1933, un rescritto episcopale da considerarsi documento pubblico di erezione canonica.

Così l’Associazione incomincia ad esistere anche canonicamente in forza dell’approvazione ecclesiastica, che sola poteva autorizzare la formazione di un’associazione, cui partecipavano semplici fedeli. Con questo poté anche ottenere l’aggregazione all’Associazione primaria di Roma, partecipandone così ai privilegi e alle indulgenze.

Ora si trattava di incrementarla. A questo scopo P . Agostino si servì di mezzi molto semplici e umili: qualche stampa da diffondere e l’apostolato che svolgeva nel confessionale, dove parlava alle anime migliori di questo ideale e le impegnava a diventarne zelatrici.

Questa forma di diffusione divenne ancora più in cisiva quando il P . Agostino fu trasferito a Loreto, nel 1934, al seguito dello studio teologico, costituito a Loreto per volontà di Pio XI, per il fatto che si ampliò di molto la cerchia di persone con le quali poteva venire a contatto.

Tuttavia l’Associazione rimase eretta presso il Santuario di S. Serafino di Ascoli Piceno, mentre la direzione e la diffusione venivano spostate a Loreto, prima nel convento dei Cappuccini, poi in alcuni locali del pensionato "Domus Pacis" e infine nell’attuale edificio di via Asdrubali 98/102, sempre a Loreto.

Ma il cuore della propaganda rimase il confessionale di P . Agostino vicino alla cappella svizzera, fino a che egli poté rimanere a Loreto e le forze glielo consentirono. Infatti, con l’avanzare degli anni, egli ebbe bisogno di un aiuto che gli fu dato nella persona del P . Cassiano D’Angelo da Offida. Così andò avanti fino all’ottobre del 1958, quando, a causa di gravi disturbi cardiaci, fu trasferito all’infermeria di Macerata.

P. Cassiano lo sostituì per tre anni; nel 1961 gli successe il P . Emilio Santini che prese l’Associazione, l’incrementò, la rese giuridicamente salda e indipendente, dandole personalità giuridica civile, una sede propria, una rivista e organizzando convegni e incontri: insomma tutto un complesso di provvidenze che le assicurò una vita sicura e spiritualmente feconda. In tutto questo itinerario difficoltà non mancarono.

Per il P. Agostino la principale fu quella di essere quasi sempre solo in questo apostolato, per giunta unito al compito gravoso dell’insegnamento della teologia dogmatica fino al 1944 e il servizio pieno in Basilica come penitenziere. Eppure dalla sua bocca mai uscì un lamento, mentre i confratelli seguivano il suo lavoro senza dar gli alcun rilievo.

Intanto l’Associazione, attraverso la stampa e l’opuscolo "L ’anima riparatrice", si diffondeva tanto che già nel 1938 pensava alla diffusione fuori d’Italia e per questo fece tradurre il sopraddetto opuscolo in inglese. Traduzione che poi, con lo scoppio della seconda guerra mondiale e altre difficoltà, non poté vedere la luce se non nel 1951.

Ma ciò che più turbò la vita dell’Associazione — oltre alle gelosie di altre associazioni consimili e di persone di corte vedute — , fu la crisi nata dal rinnovamento teologico, che già in atto in molti settori della dottrina della Chiesa, incominciò ad intaccare sia la devozione al S. Cuore di Gesù che le forme di spiritualità riparatrici da sempre legate a questa devozione. Tutto ciò iniziava verso il 1950.

Nel 1956 Pio XII pubblicò l’enciclica "Haurietis aquas", la quale rispondeva alle principali critiche, secondo le quali tutta la spiritualità legata al S.Cuore veniva considerata inattuale e inadeguata, supere rogatoria, inutile se non dannosa, decadente e sentimentale, di indole passiva perché troppo vincolata ad atti di penitenza e di riparazione e a quelle virtù, che vengono stimate "passive" e pertanto non adatte alla mentalità e alle necessità degli uomini di oggi.

Pio XII riesaminò anche tutta la problematica della devozione al S. Cuore che, in sostanza, veniva riportata "al culto dell’amore che Dio ha per noi in Cristo e insieme alla pratica del nostro amore verso Dio e verso gli uomini". In questa prospettiva veniva riabilitata anche la partecipazione dolorosa dei fedeli al mistero della passione redentrice e quindi veniva dato nuovo vigore a quelle spiritualità che inculcavano la partecipazione all’amore redentivo di Cristo e l’espiazione dei peccati propri e dei fratelli fino a una vita di immolazione.

Tuttavia è inutile nascondersi che queste polemiche raffreddavano il fervore dei fedeli e facevano apparire superati quanti si attardavano in antiche devozioni.

Questi attacchi erano ben poca cosa di fronte a quelli che verranno sferrati nel periodo conciliare e post-conciliare. Ora viene messa in dubbio la stessa presenza eucaristica o, per lo meno, essa viene interpretata in modo inaccettabile al realismo eucaristico sempre strenuamente difeso dal Magistero della Chiesa. Con ciò veniva sminuito il culto eucaristico, particolarmente quello prestato alla presenza reale fuori della Messa.

Ancora una volta intervenne il Magistero della Chiesa con l’enciclica di Paolo VI: la "Mysterium fidei" del 3 settembre 1965, seguita più tardi dall’Istruzione"Eucaristicum mysterium" del 25 maggio 1967. Parve nuocere alla spiritualità riparatrice anche la concezione della teologia più recente che mette in rilievo il senso personale e glorioso della presenza eucaristica alla luce della Lettera agli Ebrei, dove Cristo è presentato come sacerdote e vittima gloriosa, sempre vivente ad intercedere per noi presso il Padre, offrendo se stesso con le stimmate gloriose della passione per essere sacramento eterno del suo sacrificio redentore.

Forse ciò non veniva messo in evidenza in certi atteggiamenti propri della spiritualità riparatrice antica, che fissavano troppo l’attenzione su Cristo sofferente presente nell’altare, nel dolore del suo sacrificio o chiuso nel tabernacolo nello stato di vita che precedette il suo mistero pasquale.

Si trattava eventualmente di correggere certe concezioni più legate alla fantasia che alla realtà teologica. L ’idea riparatrice conserva sempre il suo valore in quanto il sacrificio della croce e le sofferenze di Cristo restano sempre nostre contemporanee, proprio in forza di questa oblazione eterna del Cristo immolato e glorioso.

Le punture di spillo e le nere profezie sul futuro dell’Associazione potevano far soffrire il P . Emilio; ma non hanno scosso la sua fede e il suo impegno. L’Associazione si è purificata, ha progredito e continua sicura il suo cammino con i 25.000 iscritti.